CINGOLI
CINGOLI
Il nome Cingoli – il “Balcone delle Marche” – deriva dalla voce latina Cingulum: “ripiano sporgente sul versante di un monte” o, con esito pressoché analogo, “sporgenza rocciosa cingente in tutto o in parte un monte”.
L’omogeneità del tessuto urbano corrisponde a una forte coesione ambientale: l’abitato, la cui salubrità climatica è proverbiale ormai da cinque secoli, si inserisce armonicamente in un paesaggio dove l’opera dell’uomo e quella della natura si sono perfettamente integrate valorizzandosi a vicenda.
L’antica varietà dei colori caldi degli intonachi delle facciate degli edifici, che si susseguono ininterrottamente lungo l’arteria principale della città o si ergono isolati in qualche suggestiva piccola via secondaria, armoniosamente intercalata dall’austerità della pietra degli eleganti portali rinascimentali emanano una sensazione di calma e rara atemporalità. Una suggestiva atmosfera rafforzata dalla chiusura del centro alla circolazione automobilistica nelle ore pomeridiane e serali.
Il visitatore, anche il più assorto, è subito rapito, in modo quasi discreto, da angoli e scorci di grande impatto scenico ed emotivo che Cingoli rivela durante le diverse ore del giorno.
Centro e cuore della città è la Piazza Vittorio Emanuele II su cui si affacciano il Municipio e la Cattedrale.
Il Palazzo municipale è un edificio composito, costituito da corpi reallizzati in epoche successive: una struttura più antica risalente forse al XII secolo, periodo del costituirsi della città in libero comune, letteralmente avvolta da un edificio di stile rinascimentale voluto nel 1531 dal governatore della città Egidio Canisio da Viterbo – come recita l’iscrizione che corre lungo la cornice del parapetto del secondo piano. Al pian terreno ospita attualmente l’importante Museo archeologico statale dove è possibile osservare materiali preistorici, protostorici e romani rinvenuti nell’area comunale.
La Cattedrale, dedicata a Santa Maria Assunta, sorge sul luogo dove, fino al 1615, si elevava la piccola chiesa di San Salvatore. L’incapacità della pieve di Santa Maria (oggi San Filippo ) ad accogliere un sempre crescente numero di fedeli spinse infatti le autorità ecclesiastiche e gli stessi cittadini ad avviare i lavori per la costruzione di una chiesa più grande e importante, benedetta e inaugurata con la celebrazione della messa nel 1654. All’interno sono contenute numerose opere, tra cui spiccano quelle di Fanelli e del cingolano Donatello Stefanucci.
Uscendo, lasciandosi alle spalle il municipio si giunge in via del Podestà, dove su uno slargo si affaccia il quattrocentesco Palazzo Conti, dell’omonima famiglia nobiliare cingolana. Proseguendo la strada in discesa si può ammirare a destra la facciata, con portale romanico, della chiesa di San Filippo Neri. L’edificio, sorgente sulle antica vestigia della pieve di Santa Maria, fu internamente dotato di una fastosa veste barocca per volere dei padri dell’Oratorio di San Filippo Neri, che nel 1664 ne divennero i possessori. Proprio in questa chiesa vuole la tradizione che San Nicola da Tolentino venne ordinato sacerdote.
Tornando in piazza Vittorio Emanuele II, a destra della cattedrale si imbocca via Foltrani, su cui gettano ombra i bei palazzi rinascimentali appartenuti ad alcune delle maggiori famiglia dell’antica nobiltà cingolana. Poco dopo, scendendo, si apre sulla destra l’ampio piazzale su cui si affaccia la chiesa di San Domenico e il connesso edificio originariamente adibito a convento dell’ordine dei Predicatori. Sull’altare maggiore della chiesa è collocata dal 1539 la grande tela detta della Madonna del Rosario e Santi, opera tra le più complesse e magnifiche dell’inquieto sublime pittore veneziano Lorenzo Lotto.
Continuando lungo via Foltrani ci sorprendono d’improvviso le mura del Monastero silvestrino di San Benedetto dentro alle quali venne a formarsi a partire dal XVII secolo il primo nucleo librario dell’attuale biblioteca comunale. Lasciandoci alle spalle l’imponente edificio ecco quasi subito svelarsi il cinquecentesco Palazzo Puccetti, costeggiando il quale si scende, all’ombra di case rinascimentali, lungo via dello Spineto che conduce, nel suo concludersi, fuori delle mura cittadine dove ha luogo la extraurbana chiesa di Santa Caterina d’Alessandria, risalente al secondo decennio del XIII secolo.
Da via dello Spineto ha inizio una piccola via dalla quale si ha la vista del quartiere della Polisena, il più antico e tipico della città per l’ambiente rustico ben conservato a viuzze scoscese selciate a pietre irregolari e casupole non intonacate – il cui etimo, oggi ai più sconosciuto, rimanda a quella grande corrente culturale dell’ermetismo rinascimentale di cui fu pregna la vita culturale della città.
Lasciando alla propria destra l’edificio comunale si imbocca Corso Garibaldi o via Maggiore, l’arteria principale della città, fiancheggiata da notevoli palazzi nobiliari. Nel XVI secolo questa via fu ribattezzata via Farnesia et Pontificalis quando il cardinale Alessandro Farnese, più volte ospite della locale famiglia Silvestri, divenne papa col nome di Paolo III.
A metà circa della via, sulla destra, all’ombra dell’edificio che originariamente ospitava la chiesa di Santa Maria in Valverde, la “enigmatica” Fontana di Maltempo, restaurata e rivestita dell’impianto allegorico-ermetico attuale nel 1568 per mano dei Lombardi, allievi del Sansovino, dietro suggerimento di una presunta e altrettanto enigmatica “congrega de’ philosophi”.
Poco dopo, sulla sinistra, si eleva, imponente e splendente nella sua facciata in travertino, il seicentesco Palazzo Castiglioni, nel quale nacque, nel 1761, e trascorse buona parte della sua vita Francesco Saverio Castiglioni, asceso al soglio papale nel 1829 con il nome di Pio VIII.
Prima di concludersi con Porta Piana, innalzata in onore del concittadino pontefice, Corso Garibaldi si apre su di una piccola piazza sulla quale si affaccia l’antica chiesa di San Niccolò, costruita poco dopo il 1218 per evitare che i parrocchiani di San Esuperanzio percorressero durante l’inverno la lunga e disagevole strada per raggiungere la loro chiesa, che rimaneva fuori delle mura cittadine.
Ma è fuori le mura cittadine che sorgono i due edifici sacri più insigni di Cingoli, dedicati ai due santi patroni della città: il Santuario di Santa Sperandia e la Collegiata di sant’Esuperanzio.
Il Santuario di santa Sperandia, costruito più volte a partire dal XIII secolo, conserva il corpo incorrotto dell’omonima santa, monaca benedettina nata a Gubbio e vissuta e morta a Cingoli nel 1276. Suggestivo il cortile, fiancheggiato da alte mura, che porta fino all’ingresso della chiesa. All’interno si conservano dipinti come Il Miracolo delle Ciliege di Pier Simone Fanelli, la Madonna con Bambino e Santi di Antonio da Faenza e la raffigurazione delle virtù cardinali nelle vele della cappella dell’altare maggiore.
La Collegiata di Sant’Esuperanzio è il monumento storico-artistico più insigne di Cingoli. La nuda facciata, di pietra grigia, è adornata di un rosone e di un notevolissimo, e per la fattura e per il significato simbolico, portale romanico scolpito dal maestro Giacomo nel 1295, come si legge nell’iscrizione in caratteri gotici dell’architrave: “Nell’anno del signore 1295, essendo priore Giacomo da Gubbio, maestro Giacomo fece quest’opera.”
Sulla destra della chiesa si appoggia un lato dell’antico chiostro, retto da pilastri cilindrici e corso da una bassa loggetta.
L’interno della chiesa è caratterizzato da un’aula unica ripartita in sette campate, e sul fondo è addossata la tribuna, costruita alla fine del XVI secolo e sorretta da due colonne di stile romanico.
Il presbiterio fu rialzato alla fine del XVII secolo per ricavare spazio per la cripta dove ancor oggi si conservano le reliquie del Santo. Si possono vedere numerosi affreschi, un polittico attribuito a Giovanni Antonio Bellinzoni da Pesaro e, nella sagrestia, una tavola con la “Flagellazione” di Sebastiano del Piombo.
Tra i prodotti dell’agricoltura ottimo l’olio extravergine d’oliva che si produce in località Troviggiano. Il territorio dona anche una buona qualità di sedani.
La parmigiana di cardi, chiamati localmente gobbi, può essere considerato il piatto tipico. In alternativa, tagliatelle al sugo di cinghiale, gnocchi all’anatra, oca in salmì.
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