SENIGALLIA – Rocca Roveresca
SENIGALLIA – Rocca Roveresca
La Rocca Roveresca è il più importante monumento di Senigallia, e come tutte le fortezze medioevali, può sembrare, vista dall’esterno, una struttura semplice e regolare. La sua complessità prende forma al suo interno, dove la dislocazione degli spazi risulta labirintica e, a uno sguardo superficiale, addirittura mal progettata. La sua struttura attuale è dovuta alla volontà di Giovanni Della Rovere, Signore della città dal 1474 al 1501. Egli era il genero di Federico da Montefeltro, Duca di Urbino che gli mise a disposizione i migliori architetti del tempo. I lavori furono inizialmente affidati a Luciano Laurana, che progettò la parte residenziale della Rocca e il ponte levatoio che la collegava all’antistante piazza. I lavori furono poi affidati a Baccio Pontelli che circondò la parte residenziale con la vera e propria struttura difensiva, di forma quadrilatera ai cui angoli sono posti quattro massicci torrioni circolari, collegati fra loro e con il corpo centrale, da un organico sistema di comunicazione, verticale e orizzontale.
L’apparente irregolarità degli spazi interni e dei percorsi è quindi una realtà voluta e cercata dallo stesso Pontelli, con lo scopo di creare un senso di disorientamento. Il monumento risulta dunque articolato in due rocche, l’una inglobata dentro all’altra: il corpo centrale, destinato a residenza signorile, è circondato dalla costruzione destinata alla difesa militare. Questo è ciò che contraddistingue la rocca senigalliese, unica nel suo genere. Il grande complesso architettonico è frutto di ristrutturazioni succedutesi nel corso dei secoli a partire dalla prima torre difensiva di epoca romana. Il cortile consente una lettura delle quattro fasi principali vissute dalla Rocca: la prima del III secolo a.C.; la seconda del XIV secolo; la terza della metà del XV secolo, la quarta degli anni Ottanta del XV secolo.
Tra queste la ristrutturazione rinascimentale predomina sulle altre. Il cortile è funzionalmente elemento di raccordo tra l’ingresso dall’esterno, dal quale si accede attraverso il ponte levatoio, la parte residenziale e quella militare. Tale cortile appare tipicamente quattrocentesco poiché fu ristrutturato in epoca roveresca per adempiere al duplice uso di cortile di casermaggio e di cortile di residenza con un pozzetto decentrato tipico del rinascimento, tuttavia esso conserva notevolissimi resti delle costruzioni precedenti. Originariamente era anche presente un passaggio che collegava il cortile con il livello sottostante, garantendo una maggior comunicazione e areazione. Di fronte all’ingresso principale possiamo vedere un muro della torre su cui si leggono tutte le vicende architettoniche della rocca: dalla base romana, alla prosecuzione della Rocchetta trecentesca, dovuta all’opera del cardinal Albornoz intorno al 1350, alla prima rocca quattrocentesca, fatta costruire un secolo dopo da Sigismondo Pandolfo Malatesta, ai segni dell’età roveresca, che consistono nel taglio in alto del maschio presente nelle precedenti costruzioni, in seguito alle nuove esigenze dovute all’introduzione dell’artiglieria. Questa parte della Rocca, frutto di molti cambiamenti succedutesi nel tempo, indica chiaramente che la zona su cui essa sorge è sempre stata considerata punto strategico della città per la costruzione di una fortificazione che costituisse il fulcro delle opere di difesa. Il muro con le arcate che si vede sul lato destro del cortile fa parte della cortina trecentesca, anche se esse furono rafforzate quando si rese necessario l’ampliamento della sezione del muro difensivo per creare piani di spostamento per l’artiglieria, in muratura, che sostituirono i camminamenti di legno. La cisterna della raccolta delle acque, posta accanto al pozzetto quattrocentesco risale al XIV secolo. Essa è circolare con un andamento verticale leggermente a pigna. La sua collocazione di particolare bellezza e funzionalità ci permette di affermare che nei secoli l’attuale cortile fu sempre destinato a spazio libero, più o meno ampio, circondato da mura difensive. Analoga cosa si può dire per l’ingresso: esso in tutte le costruzioni ha mantenuto la stessa posizione, come dimostra l’andamento delle mura difensive delle rocche precedenti.
Ai vertici della struttura principale si sviluppano quattro torrioni. Le “cronache cittadine” quattrocentesche narrano che il primo torrione ad essere edificato è quello a mare, a nord verso Fano, il secondo, quello a mare ad est verso ancona, il terzo ed ovest verso l’antistante piazza e l’ultimo a sud costruito dall’architetto militare Baccio Pontelli. La successione delle costruzioni rivela che i pericoli più minacciosi per Senigallia alla fine del quindicesimo secolo erano considerati quelli che potevano venire dal mare, fatto particolarmente vero nei periodi di costruzione della rocca roveresca, quando le incursioni dei turchi minacciavano tutta la costa adriatica. Ciò è testimoniato anche dalla presenza nel lato nord-est della fortezza, quello a mare, di poche aperture e di un’unica porta apribile esclusivamente dall’interno, costruita successivamente.
I torrioni, nonostante le apparenze sono tutti di dimensioni differenti e, facendo il giro del terrazzo, si può notare come essi fossero costruiti a difesa del corpo centrale della rocca, evidenziando ancora una volta l’originalità di questo monumento che mostra, in effetti, come le rocche siano due, l’una completamente inglobata nell’altra. Attraverso il vetro della struttura posta a difesa dell’opera di restauro, si possono vedere i merli della prima rocca quattrocentesca e le strutture architettoniche che consentivano la mobilità del ponte levatoio. Affacciandosi da uno dei torrioni a mare è possibile immaginare meglio quale fosse la potenzialità difensiva della rocca. La sua massiccia struttura era circondata da un fossato pieno d’acqua, la cui immissione era regolata da un sistema di portelle e contenuta da un muro di cinta, grosso modo circolare, come risulta da antichi disegni. Tutt’attorno al terrazzo sono visibili troniere con la scritta IO DUX –IO PRE e, all’esterno, il grandioso coronamento di beccatelli in bianca pietra d’Istria che costituisce un piacevole contrasto con il mattone cotto impiegato per l’intera costruzione. Per quanto riguarda la struttura interna, la zona residenziale si sviluppa su tre livelli, serviti da una scala a due rampe, con accesso dal cortile interno. Il livello inferiore era adibito alla guarnigione e all’alloggiamento per gli ufficiali della milizia preposta alla difesa della rocca. In fondo al corridoio terminale di quest’appartamento è ancora possibile una rilettura delle fasi di costruzione e ristrutturazione della rocca: quella trecentesca, malatestiana di cui si può intravedere lo sperone sotto la grata, e roveresca. I locali superiori (tre saloni) erano riservati alla rappresentanza e alla residenza del Duca. La sala posta al piano del terrazzo fa parte della zona destinata da Giovanni Della rovere a residenza della sua corte nei momenti di emergenza. Infatti, contemporaneamente a questi appartamenti, egli diede inizio all’edificazione di un vero e proprio palazzo, oggi distrutto di cui resta solo un bellissimo stemma, riproposto in maniera semplificata al secondo piano di questo edificio. Lo stemma di Giovanni Della Rovere che consiste in una sfinge senz’ali sormontata da sette serpenti e posta sopra un cimiero, era anche raffigurata in un basso rilievo collocato sul torrione sud. Questa sala era uno dei tre saloni di rappresentanza, quelli in cui avrebbero potuto svolgersi le feste della corte e dei quali oggi è visibile solo questo. Il locale fu destinato a cappella, presumibilmente in epoca pontificia, quando la rocca fu adibita a carcere.
Attraverso lo scalone principale della zona destinata a residenza, si accede al vero e proprio appartamento ducale. La disposizione degli ambienti è estremamente semplice, dato lo spazio molto limitato in quanto questa era considerata una residenza per i momenti di emergenza. Si possono notare in questa sala i capitelli finemente lavorati, e sulla destra rispetto all’ingresso, i due che raffigurano la sfinge non alata, emblema di Giovanni Della Rovere. Anche qui compaiono le scritte IO DUX –IO PRE che si riferiscono ai titoli maggiori che il Della Rovere ebbe: quello di Duca di Sora e quello di Prefetto di Roma. Anche il matrimonio con Giovanna Da Montefeltro comportò l’acquisizione, nello stemma roveresco, del cosiddetto “ quarto di parentela”, cioè delle bande azzurre e oro con l’aquiletta della casata montefeltresca. Questi stemmi sono inseriti al centro delle volte dei soffitti di questo appartamento e, a seconda che vi compaiono o no lo stemma dei montefeltro è possibile risalire alla loro datazione. Infatti, prima del 1478, data del matrimonio, troviamo nell’arme roveresca due roveri, uno dei quali sarebbe stato sostituito dalle bande urbinati. Il motivo delle foglie di rovere e delle ghiande è presente sulle cornici delle porte e delle finestre.
Di particolare interesse è la cappellina di questo appartamento: essa è a pianta quadrilatera sormontata da una cupola. Notevole è la soluzione della smussatura degli angoli dei muri attraverso stucchi che conferisce alla cappellina un aspetto armonioso. Il granaio era un locale di servizio della zona residenziale, caratterizzato soprattutto dalla presenza di un grosso serbatoio destinato probabilmente a contenere il grano necessario per i rifornimenti a coloro che risiedevano nella rocca particolarmente in caso di assedio . Nei sotterranei sono ubicate, in un locale quadrangolare le celle per i detenuti. Queste anguste prigioni furono ricavate da luoghi probabilmente strutturati in origine per essere cannoniere. Sono vere e proprie celle di morte, come si può rilevare dalle piccole prese d’aria che consentivano, più che la sopravvivenza, una lenta agonia. Non è possibile precisare quando sia avvenuta la trasformazione delle cannoniere in celle, probabilmente quando la rocca fu adibita a carcere. Dal percorso per accedere al piano superiore è visibile l’antica torre difensiva romana costruita con pietra calcarea spugnosa lavorata in grossi blocchi rettangolari bugnati, alcuni dei quali corrosi ma in complesso molto ben conservati, in quanto la torre fu inglobata nelle successive ristrutturazioni che l’hanno protetta dall’azione corrosiva degli agenti atmosferici. Per collegare questi ambienti venne realizzata una bellissima scala a chiocciola tuttavia mai usata. Lo conferma la mancanza dei lavori di protezione che avrebbero dovuto attenuare la pericolosità dei ripidi gradini monolitici. Non sono, infatti, mai state trovate tracce di una ringhiera. Tutta realizzata in pietra bianca d’Istria, essa è sicuramente il pezzo di maggior pregio della struttura sia dal punto di vista stilistico che da quello ingegneristico.
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