Nel 2017 previste 1700 Unioni di Comuni
Nel 2017 previste 1700 Unioni di Comuni
Per riorganizzare adeguatamente 8000 realtà territoriali. Al congresso dell’Anci con il ministro Costa, il sindaco di Pesaro Matteo Ricci: “La legge di riordino è una grande riforma per il Paese con il livello decisionale mantenuto nei territori”
CUNEO – «I tempi sono maturi per una grande riforma che serve al Paese. Non calata dall’alto, ma costruita nei territori. Con il governo la collaborazione è costante: l’obiettivo è vicino. Ora bisogna chiudere». Matteo Ricci si riferisce alla legge di riordino dei Comuni, nel congresso Anci sulla «primavera delle autonomie locali», a Cuneo, davanti al ministro Enrico Costa e al sottosegretario Gianclaudio Bressa.
«I sindaci possono diventare protagonisti del cambiamento. La fine del bicameralismo perfetto e la nascita del Senato delle Autonomie sono passaggi epocali. Ma a maggior ragione dopo lo svuotamento delle Province, ora bisogna rafforzare i Comuni. Il punto politico è questo. Ed è un tassello ancora mancante. A meno che non si pensi di affidare la gestione alle Regioni: un’impostazione non condivisibile, perché determinerebbe centralismo: a loro spettano funzioni di legislazione e programmazione».
Il sindaco di Pesaro prima rilancia: «Sulla riorganizzazione della governance dei territori serve una normativa nazionale. Le Regioni non possono andare in ordine sparso». Poi dettaglia la proposta: «Ottomila Comuni, così come li abbiamo conosciuti finora, non reggono più. La questione riguarda tutti. Sbagliato arroccarsi sul difensivismo: fare le barricate non paga. Accettiamo la sfida per il cambiamento ma i sindaci, a livello provinciale, giochino un ruolo da protagonisti. Individuando entro la fine dell’anno i bacini omogenei che diventeranno, obbligatoriamente, Unioni dei Comuni per la gestione associata dei servizi».
Per Ricci la strada da seguire non è il criterio demografico: «Il bacino omogeneo è la dimensione ottimale per ridisegnare lo spazio di collaborazione amministrativa. Rendendolo stabile: con questo schema, dal primo gennaio, la riorganizzazione di 8mila Comuni si concretizzerà con 1500-1700 Unioni». Sulle funzioni da assegnare al bacino omogeneo: «All’inizio saranno tre. C’è un confronto aperto sull’indicazione obbligatoria o sulla scelta libera. Ma chi vorrà e si sentirà pronto, potrà aumentare anche il numero dei servizi associati. I sindaci saranno in prima linea per il futuro dell’area vasta, giocando all’attacco. Se non accetteranno la sfida, se mancheranno nelle decisioni della riorganizzazione, la Regione potrà subentrare come potere sostitutivo».
In parallelo, tuttavia, è necessaria una legislazione nazionale e regionale più spinta, che semplifichi e incentivi: «Se in prospettiva si ridurrà la spesa pubblica, gli incentivi devono essere visti come investimenti. La proposta è elastica, non toglie ruolo alle Regioni, è una sfida di autonomia e cambiamento. Le Unioni diventeranno obbligatorie, le fusioni resteranno volontarie. Lasciando il massimo livello decisionale, attraverso i sindaci, sui territori». Sulle Regioni: «Quando sono nate non c’era l’Europa di oggi né la globalizzazione. La loro riorganizzazione, che andrà affrontata dopo il referendum costituzionale, si rende necessaria per questioni di competitività». Infine: «Ripensare la governance del territorio è anche un modo per riflettere sui consigli provinciali attuali, poco incisivi. E sulla natura dell’area vasta: se deve essere spazio di collaborazione tra sindaci, meno politica ci si mette dentro e meglio è». (f.n.)
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