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Sui vitigni identitari è battaglia commerciale con Spagna e Portogallo

Sui vitigni identitari è battaglia commerciale con Spagna e Portogallo

Per il coordinatore della Commissione Agricoltura e Sviluppo rurale dell’Europarlamento, Paolo De Castro, nell’Ue oggi la tutela dei marchi è ancora più forte rispetto ad anni fa, ma occorre tenere alta la guardia nonostante le doppie rassicurazioni

Sui vitigni identitari è battaglia commerciale con Spagna e Portogallo

FERMO – Istituzioni e filiera insieme oggi a Tipicità (Fermo Forum), in occasione della tavola rotonda “Liberalizzazione Ue nomi dei vitigni: denominazioni italiane a rischio. Il no della filiera”, organizzata dall’Istituto Marchigiano di Tutela Vini – IMT. Obiettivo, fare il punto sullo spauracchio della liberalizzazione in etichetta dei nomi dei vitigni, che minaccia i vini identitari italiani. Ovvero i vitigni – e sono decine – che non riportano il nome dei territori, pur essendo essi la quintessenza della territorialità. In tutto sono 36 (dal Lambrusco al Verdicchio, dal Vermentino al Nebbiolo, al Sangiovese e avanti), per un valore stimato dalle categorie di 3mld di euro l’anno. Se per l’Italia l’atto di indirizzo della nuova norma rappresenta una minaccia cui fa scudo l’intera filiera, per altri Paesi europei – Spagna e Portogallo in primis – la possibilità di utilizzare il nome dei vitigni rappresenta null’altro che la semplificazione di un regolamento che ha fatto il suo tempo. Quindi, secondo i competitor, dovrà essere possibile non solo produrre Verdicchio o Lambrusco ma anche presentarlo come tale, in Spagna come in tutti i Paesi Ue. Venti di liberalizzazione che soffiano nell’Ue o semplicemente battaglia commerciale? Per il coordinatore S&D Commissione Agricoltura e Sviluppo rurale dell’Europarlamento, Paolo De Castro, intervenuto in videoconferenza, è valida la seconda tesi, e anzi, nell’Ue oggi la tutela dei marchi è ancora più forte rispetto ad anni fa. Ma, ammette l’ex ministro come tutti gli intervenuti al convegno – da Alleanza delle Cooperative Italiane agroalimentari a Federdoc, da Federvini a Unione italiana Vini, a Confederazione Italiana Agricoltori (CIA) – occorre tenere alta la guardia nonostante le doppie rassicurazioni del Commissario Hogan e del suo dg Agricoltura, Joost Korte. Sul fronte marchigiano è prudente Alberto Mazzoni, direttore IMT, che nel cassetto, in caso di disfatta, tiene una soluzione che evochi assieme al nome del vitigno quello della regione, “per non perdere un lavoro di decenni”. Dello stesso parere il vicepresidente e assessore all’Agricoltura della Regione Marche, Anna Casini, per la quale il problema non è solo commerciale ma anche culturale, in quanto un vitigno rappresenta ben più della propria vocazione, ma il lavoro, il territorio, l’unicità del made in Marche.

LE DICHIARAZIONI

Per il coordinatore S&D Commissione Agricoltura e Sviluppo rurale dell’Europarlamento, Paolo De Castro “Non c’è alcuna spinta da parte dell’Unione Europea a ridurre le tutele del nostro vino, anzi, con il ‘Pacchetto qualità’ le garanzie si sono rafforzate. Il problema legato alla cosiddetta semplificazione in materia di vitigni identitari è invece commerciale e di interpretazione del regolamento sul legame dei vitigni con il territorio”. “L’Ue – ha aggiunto De Castro – non sta assolutamente cambiando direzione, il problema è di natura legata a logiche commerciali che vedono da una parte l’Italia e la Francia reclamare lo status quo, dall’altra Paesi come la Spagna e il Portogallo, che già producono vini identitari come ad esempio il Lambrusco, ma che in virtù di questa norma non possono dare il nome del vitigno. La promessa di ritiro dell’atto delegato da parte del Dg Agricoltura, Joost Korte – ha concluso – significa aver vinto una battaglia ma non la guerra”.

Per il vicepresidente e assessore all’Agricoltura della Regione Marche, Anna Casini: “Questa proposta di liberalizzazione rappresenta una minaccia non solo commerciale ma anche culturale, perchè mina il rispetto, le tipicità e le caratteristiche di territori dove i vitigni sono nati e cresciuti grazie al lavoro delle nostre aziende. Si va ben oltre quindi il concetto di vitigno in quanto tale. Forse dovremmo cominciare a pensare a un paniere di vini marchigiani che possa essere riconosciuto come unico e particolare”.

Per il direttore dell’IMT, Alberto Mazzoni: “Sono fiducioso sul lavoro delle istituzioni italiane a Bruxelles ma se dovessimo perdere questa battaglia non è escluso che potremmo identificare una doc Marche. Non possiamo infatti permetterci di buttare all’aria l’importante lavoro di promozione e valorizzazione dei nostri vini fatto dalla Regione e dal nostro Istituto negli ultimi 15 anni”.

Per la coordinatrice del settore vitivinicolo dell’Alleanza delle Cooperative agroalimentari, Ruenza Santandrea: “La nostra è una battaglia senza se e senza ma. La partita delle liberalizzazioni non è ancora vinta ma ci conforta constatare che se un tempo l’Italia andava in ordine sparso oggi ci siamo compattati, sia in ambito istituzionale che di filiera. Ed è importante, perché le lobby si trovano a tutti i livelli, anche in Europa. Ora ci stiamo preparando per la riunione dell’Intergruppo vino con il commissario Hogan, in programma a Strasburgo il prossimo 8 marzo”.

Per il funzionario del Dipartimento Sviluppo agroalimentare e territorio della Confederazione italiana agricoltori Domenico Mastrogiovanni: “Dobbiamo recuperare la capacità di fare lobby dentro il sistema della Commissione Ue per rappresentare le nostre istanze  L’attenzione sul vino, un settore che copre una grossa fetta del made in Italy, è fondamentale e non possiamo permettere che le regolamentazioni sul made in Italy vengano messe in discussione con un atto delegato, perché non stiamo rispettando il Trattato di Lisbona”.

Per il presidente di Federdoc, Riccardo Ricci Curbastro: “Oggi per le nostre denominazioni è in corso una battaglia epocale a Bruxelles. Occorre far capire all’Europa che per l’Italia ci sono delle esigenze e delle storie di cui tener conto. Gli stessi accordi bilaterali con gli Stati Uniti hanno mostrato dei meccanismi difficili. Oggi la regola del trade mark non è la soluzione a cui puntiamo, miriamo piuttosto al riconoscimento pubblico della denominazione e non alla registrazione privata”.

Per il direttore generale di Federvini, Cagiano de Azevedo – “Sul fronte delle denominazioni è ora di cominciare a ragionare sull’identità del vino italiano e sulla cultura dei nostri territori. Non è creando nuove indicazioni geografiche che aumenta la tutela. La salvaguardia cresce sulle indicazioni geografiche che hanno la forza e le dimensioni per difendersi, perché la via dei marchi è costosissima”.

Per Giulio Somma, responsabile comunicazione Unione Italiana Vini: “Nel documento sulle liberalizzazioni, oltre al tema dei vitigni, c’è un passaggio ancora più insidioso che non è stato evidenziato. Mi riferisco al ‘marketing standard’ che avrebbe voluto far passare in nome della semplificazione e della normalizzazione lo smembramento del regolamento sull’etichettatura del vino e uniformarlo a quello degli altri settori agricoli. Un’ipotesi devastante per il nostro settore. Da due anni stiamo lavorando sul Testo Unico del vino per aiutare i produttori a ritrovare in un unico corpus giuridico tutte le norme che riguardano il settore, e mentre noi semplifichiamo, Bruxelles complica”.

 

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