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“L’Italia non può prescindere da fonti energetiche fossili”

“L'Italia non può prescindere da fonti energetiche fossili"

“L’Italia non può prescindere da fonti energetiche fossili”

In vista del referendum sulle trivellazioni del prossimo 17 aprile abbiamo intervistato l’ingegner Gian Vittorio Battilà

“L'Italia non può prescindere da fonti energetiche fossili"PORTO SANT’ELPIDIO – “Andiamo a votare per decidere del destino di impianti che ci sono già, i nuovi sarebbero vietati in ogni caso”. L’ingegner Gian Vittorio Battilà, in vista del referendum sulle trivellazioni del prossimo 17 aprile, si pronuncia in merito al caldissimo tema, ripercorrendo la strada delle leggi vigenti e delle prospettive che potrebbero avere origine dall’esito delle votazioni.

“Per la prima volta nella storia della Repubblica – dice il libero professionista -, il prossimo 17 aprile gli elettori italiani saranno chiamati a votare a un referendum richiesto dalle regioni, invece che, come di solito avviene, tramite una raccolta di firme. Si tratta del cosiddetto “referendum No-Triv” : una consultazione per decidere se vietare il rinnovo delle concessioni estrattive di gas e petrolio per i giacimenti entro le 12 miglia dalla costa italiana. In tutto le assemblee di nove regioni hanno chiesto il referendum: Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise. Una raccolta di firme per presentare il referendum era fallita lo scorso inverno. L’esito del referendum sarà valido solo se andranno a votare il 50 per cento più uno degli aventi diritto al voto. Non si tratta di convincere nessuno né sul sì, né sul no; si tratta di ragionare su ciò che è in ballo, su un’Italia che non può prescindere dalle risorse energetiche fossili. Indubbiamente ogni italiano non va a decidere se fermare o meno le trivelle domattina, anche perché diverse concessioni vantano validità ventennale, bensì si chiede agli italiani se vogliono abrogare la parte di una legge che permette a chi ha ottenuto concessioni per estrarre gas o petrolio da piattaforme offshore entro 12 miglia dalla costa di rinnovare la concessione fino all’esaurimento del giacimento”.

Allo stato attuale, il comma 17 del decreto legislativo 152 stabilisce che sono vietate le «attività di ricerca, di prospezione nonché di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi» entro le 12 miglia marine delle acque nazionali italiane. La legge stabilisce che gli impianti che esistono entro questa fascia possono continuare la loro attività fino alla data di scadenza della concessione, che su richiesta può essere prorogata fino all’esaurimento del giacimento. Si parla quindi di permettere o no che proseguano le estrazioni sugli impianti che esistono già. Ricapitolando: una vittoria del “sì” obbligherebbe le attività petrolifere a cessare progressivamente la loro attività secondo la scadenza “naturale” fissata originariamente al momento del rilascio delle concessioni, al di là delle condizioni del giacimento. Lo stop, quindi, non sarebbe immediato, ma arriverebbe solo alla scadenza dei contratti già attivi. Se passa il “sì”, inoltre, si potranno comunque ancora cercare ed estrarre idrocarburi al di là delle 12 miglia e sulla terraferma. Se vince il “no” o non si raggiunge il quorum , le attività di ricerca ed estrazione non avrebbero una data di scadenza certa, ma potrebbero proseguire fino all’esaurimento dei giacimenti interessati. Le concessioni attualmente in essere avevano una durata di trent’anni con la possibilità di due successive proroghe, di dieci e di cinque anni. Con una modifica apportata al testo in materia dall’ultima legge di Stabilità potrebbero però rimanere “per la durata di vita utile del giacimento”.

Con il “no” questa possibilità rimarrebbe, ovviamente nel rispetto delle valutazioni di impatto ambientale che andranno fatte in caso di richiesta di rinnovo. “Non sono previste estrazioni di idrocarburi nel Mar Adriatico – dice l’ingegner Battilà -. Tuttavia una compagnia irlandese, la Petroceltic, ha ottenuto il permesso di poter cercare in futuro eventuali giacimenti in acque internazionali, quindi oltre le 12 miglia dalla costa molisana e dalle isole Tremiti. La procedura per rendere attive le prospezioni nei fondali è però molto complessa: essa prevede una valutazione ambientale ufficiale e una nuova autorizzazione. A oggi nei mari italiani, entro le 12 miglia, sono presenti 35 concessioni di coltivazione di idrocarburi, di cui tre inattive, una è in sospeso fino alla fine del 2016 (al largo delle coste abruzzesi), 5 non produttive nel 2015. Le restanti 26 concessioni, per un totale di 79 piattaforme e 463 pozzi, sono distribuite tra mar Adriatico, mar Ionio e canale di Sicilia. Di queste, 9 concessioni (per 38 piattaforme) sono scadute o in scadenza ma con proroga già richiesta; le altre 17 concessioni (per 41 piattaforme) scadranno tra il 2017 e il 2027 e in caso di vittoria del Sì arriveranno comunque a naturale scadenza. Il referendum avrebbe conseguenze già entro il 2018 per 21 concessioni in totale sulle 31 attive : 7 sono in Sicilia, 5 in Calabria, 3 in Puglia, 2 in Basilicata e in Emilia-Romagna, una in Veneto e nelle Marche. Il quesito referendario riguarda anche 9 permessi di ricerca, quattro nell’alto Adriatico, 2 nell’Adriatico centrale davanti alle coste abruzzesi, uno nel mare di Sicilia, tra Pachino e Pozzallo, uno al largo di Pantelleria”. 26 concessioni (produttive) entro le 12 miglia producono il 27% del totale del gas e il 9% del greggio estratti in Italia (il petrolio viene estratto nell’ambito di 4 concessioni dislocate tra Adriatico centrale – di fronte a Marche e Abruzzo – e nel Canale di Sicilia). La produzione nel 2015 di 542.881 tonnellate di petrolio e 1,84 miliardi di Smc si va a scontrare con i consumi di petrolio in Italia nel 2014 che sono stati di circa 57,3 milioni di tonnellate. Quindi l’incidenza della produzione delle piattaforme a mare entro le 12 miglia è stata di meno dell’1% rispetto al fabbisogno nazionale (0,95%): “Lo stato non può cacciare sempre fuori questa storia fuori, dato che l’1% è davvero una miseria. La minaccia non tiene. Allo stesso modo, non è vero che passeranno più petroliere, dato che dalla Basilicata sta per arrivare altro Petrolio anche da Tempa Rossa. Per il gas, i consumi nel 2014 sono stati di 50,7 milioni di tep corrispondenti a 62 miliardi di Smc; l’incidenza della produzione di gas dalle piattaforme entro le 12 miglia è stata del 3% del fabbisogno nazionale. Nel testo si parla di durata relazionata alla “Vita utile del giacimento”, ma cosa vuol dire? “ E’ una definizione approssimativa – dice il giovane marchigiano – , soprattutto se l’Ente di controllo non definisce i parametri (sarebbe stato positivo se qualcuno avesse definito tali parametri in maniera esplicita ed oggettiva; le multinazionali ragionano molto sui numeri e consegnano i resoconti all’ente di controllo strettamente su quanto richiesto. Non c’è etica definita sul tema, a parte la questione ambientale).Generalmente si valuta un rapporto tra «energia» utilizzata per la produzione (estrazione) e l’ «energia» fornita (estratta). Dunque, si lascia nelle mani delle multinazionali (o compagnie che estraggono) la definizione di fine giacimento. Si può continuare ad estrarre con più calma evitando costi di dismissione e lo Stato perde così il controllo sui termini e certezza della dismissione. Le Royalties basate sulle quantità estratte permettono alla Compagnia di estrarre poco alla volta azzerando le spese di mantenimento, ma facendo rischiare a noi di non vedere mai la dismissione e bonifica delle opere usate per l’estrazione e trasporto. Ovviamente queste potrebbero restare a carico delle stato. Questo non creerebbe nè garantirebbe gli attuali posti di lavoro, in quanto basta un operatore che osservi l’andamento della produzione minima da remoto. Infine, chi dice che non vadano più in profondità per cercare altro materiale?”.

Questo il video dell’intervista all’ingegner Gian Vittorio Battilà:

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