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Nelle Marche l’agroalimentare vale 2 miliardi di euro

Nelle Marche l’agroalimentare vale 2 miliardi di euro

Può contare su 43mila imprese e presenta un valore aggiunto sull’economia regionale quasi doppio rispetto alla media nazionale (12% contro 7%). Presentato al Vinitaly il risultato di uno studio sugli impatti socioeconomici della filiera agroalimentare marchigiana realizzato da Nomisma/Wine Monitor

Nelle Marche l’agroalimentare vale 2 miliardi di euro

VERONA – Nelle Marche il sistema agroalimentare – vino in primis – vale 2 miliardi di euro, conta su 43mila imprese e presenta un valore aggiunto sull’economia regionale quasi doppio rispetto alla media nazionale (12% contro 7%). Sono i numeri chiave dello studio sugli impatti socioeconomici della filiera agroalimentare marchigiana realizzato da Nomisma/Wine Monitor e presentato oggi al Vinitaly con l’Istituto Marchigiano di Tutela Vini (IMT).

“L’indagine – ha detto il direttore del settore agroalimentare di Nomisma, Denis Pantini – svela tutta la centralità del settore primario e della sua trasformazione. In una regione il cui impatto con la crisi si è rivelato dirompente per diverse eccellenze produttive, l’agroalimentare ha tenuto e oggi può essere una leva di rilancio importante per l’economia regionale, anche sul fronte turistico”.
Nel complesso – svela lo studio di Nomisma – il comparto con il suo indotto rappresenta circa 43mila aziende (il 28% del totale regionale), conta 70mila occupati (11%) e produce un valore aggiunto totale di quasi 2mld di euro. Sul territorio, le oltre 28mila aziende agricole occupano una superficie utilizzata (Sau) di 472mila ettari – la metà dell’intera superficie della regione -, con una dimensione media (10,5 ettari) ben superiore a quella nazionale (7,9ha). Lo studio “Il valore socioeconomico del vino e dell’agroalimentare nelle Marche”, commissionato da IMT e che prevede altre ricognizioni nel corso dell’anno, dimostra come negli anni di recessione economica l’agroalimentare made in Marche sia andato controcorrente, con una sostanziale tenuta del valore aggiunto, a fronte di perdite importanti degli altri settori.

A partire dall’industria manifatturiera, passata dal 25,3% al 21,7%, dalle costruzioni (dal 6,4% al 5,4%) e dall’elettronica (dal 4,8% al 4%). E se in un contesto di calo occupazionale l’agroalimentare mantiene inalterato il suo contributo, è evidente l’escalation dell’export del settore, cresciuto negli ultimi 10 anni 4 volte più del totale manifatturiero (+107% contro 27%). “In agricoltura – ha detto il direttore dell’Istituto Marchigiano di Tutela Vini, Alberto Mazzoni – il trend positivo dell’export dal 2005 al 2015 è stato ancora più netto, con un balzo in avanti del 286%. La terra oggi rappresenta un ritorno al futuro su cui puntare fortemente, anche in termini di immagine distintiva dell’intera regione. Per questo crediamo nella strategicità della nuova compagine associativa ‘Food Brand Marche’, che conta già circa la metà del Pil del settore e che promuoverà i nostri marchi nel mondo”.

Per l’assessore all’Agricoltura e vicepresidente della Regione Marche, Anna Casini: “Da questa ricerca emerge tutta la centralità dell’agroalimentare per l’economia marchigiana e il valore di un progetto come Food Brand Marche, che condivido per la sua visione sistemica. Oggi più che mai è fondamentale creare profonde sinergie tra agricoltura, enogastronomia e cultura per far crescere l’economia regionale, rafforzando il legame biunivoco tra territorio e prodotto. Siamo stati lungimiranti in questa visione, ma oggi il PSR fa un ulteriore passo avanti che è quello di valorizzare le aree interne. Ben vengano dunque il turismo balneare, il turismo dei centri storici, ma abbiamo delle aree interne meravigliose che rischiano di essere abbandonate e dove c’è un turismo di nicchia che è importantissimo valorizzare”.

Nel dettaglio, il vino rappresenta il primo prodotto alimentare marchigiano esportato e influisce, in valore, su quasi un quarto dell’intero commercio. A seguire ‘pasta e prodotti da forno’ (12%), ‘conserve vegetali’ (10%), ‘carni’ (8%), ‘mangimi’ (7%).

MARCHE AL PLURALE  anche nella percezione della brand reputation dei suoi prodotti tipici: gli italiani che non la conoscono la collocano in basso nella classifica, per gli ‘user Marche’ è invece la terza regione italiana più attrattiva, dopo Emilia Romagna e Toscana. È quanto emerso oggi al Vinitaly da un’indagine su turisti e visitatori realizzata da Nomisma/Wine Monitor e presentata con l’Istituto Marchigiano di Tutela Vini (IMT), nell’ambito della ricerca “Il valore socioeconomico del vino e dell’agroalimentare nelle Marche”. Secondo la survey, condotta su un campione di 1.200 interviste, la gastronomia e i vini delle Marche rappresentano un motivo importante del viaggio, dietro solo al ‘mare’ e ai ‘borghi/città d’arte’. Tra chi vede l’enogastronomia come la principale attrazione della regione, figurano soprattutto le persone con alto grado di istruzione e maggior capacità di spesa.

“Questa indagine – ha detto il direttore dell’Istituto Marchigiano di Tutela Vini, Alberto Mazzoni – da una parte ci inorgoglisce, dall’altra ci dice che dobbiamo fare di più sul fronte della promozione e della comunicazione del nostro territorio. E l’enoturismo, la gastronomia, il paesaggio rurale possono rappresentare un valore aggiunto determinate per lo sviluppo economico di agricoltura e turismo”. Proprio l’enoturismo, secondo Silvia Zucconi di Nomisma è la voce con grandi prospettive di crescita: “Il turismo dà un forte impulso al settore agroalimentare, sia per l’impatto diretto che ha sulla ristorazione che per l’acquisto di vino e prodotti agroalimentari, con un giro d’affari quantificato da Unioncamere in 355 milioni di euro. Rilevanza che trova conferma anche nell’indagine condotta da Nomisma, secondo la quale il 36% della spesa dei turisti afferisce all’acquisto di vini e prodotti alimentari, incidenza che sale al 50% tra gli escursionisti che visitano le Marche in giornata”.

E se per i turisti le Marche sono ritenute ospitali (25%), ricche di cibi gustosi (13%) e di vini di qualità (7%), anche l’impatto paesaggistico delle sue campagne è apprezzato. Qui la viticoltura è protagonista perchè, secondo l’indagine, oltre il 90% dei turisti/escursionisti ritiene che i vigneti presenti in regione contribuiscano a creare unicità e bellezza per il paesaggio marchigiano. Tra i vini e i prodotti alimentari svetta il Verdicchio (primo vino ricordato in termini di notorietà spontanea) con il 56%, le olive ascolane, il Ciauscolo e il rosso Conero (14%).

IL VERDICCHIO STRAVINCE per notorietà spontanea tra i consumatori di vino con il 54% degli user che lo indica come vino marchigiano per eccellenza, seguito a lunga distanza da Conero (6%), Rosso Conero, Rosso Piceno, Vernaccia (tutti a pari merito con il 4%), Pecorino (3%), Lacrima di Morro d’Alba e Passerina (entrambi al 2%). E’ la top 8 awareness dei vini marchigiani che emerge dall’indagine Nomisma-Wine Monitor presentata oggi a Vinitaly per conto dell’Istituto Marchigiano di Tutela Vini – IMT. Secondo lo studio – che ha analizzato i comportamenti di consumo di vino in un campione rappresentativo della popolazione italiana over 18 tra canali di acquisto, motivazioni, prezzi e criteri di scelta – sono inoltre i vini da vitigni autoctoni i protagonisti indiscussi del futuro enologico italiano, identificati dal 39% degli intervistati come trend di consumo dominante. Tra questi, spunta la sfida di popolarità dei bianchi ancora una volta il Verdicchio, che è conosciuto dal 77% dei rispondenti, tallonato dal Vermentino (76%) e seguito dalla Vernaccia (67%) sul terzo gradino del podio. Una vittoria, quella dei vini identitari, sottolineata anche dall’importanza della territorialità nei criteri di scelta del vino, con il 36% dei consumatori che si orienta nell’acquisto principalmente in base alla provenienza dei vini, prestando attenzione alla specifica regione di produzione (26%) e alla nazionalità (10%).
Se si guarda la classifica dei vini marchigiani più bevuti nell’ultimo anno in casa, da amici, in bar e ristoranti è ancora il vino principe delle Marche in testa per il 64% dei consumatori italiani, seguito da Rosso Conero (47%), Vernaccia di Serrapetrona (44%) e Conero Docg Riserva (41%). Un primato, quello del vino bianco più premiato d’Italia, che si riflette anche nel tasso di penetrazione: sul 44% dei consumer italiani che ha assaggiato almeno in un’occasione i vini marchigiani ben il 31% ha provato il Verdicchio, di cui il 24% qualche volta al mese e il 7% qualche volta a settimana. Freschezza, qualità e autenticità sono le caratteristiche distintive associate all’ambasciatore delle Marche nel mondo, rispettivamente per il 24%, il 16% e l’11% dei consumatori di Verdicchio.
Per lo studio “Vini italiani & vini marchigiani, consumi e brand awareness” di Nomisma inoltre ammonta a 5,03 euro il prezzo medio speso dagli user di Verdicchio per una bottiglia da 0.75 litri, che è consumata al ristorante (45%) come a casa (44%), soprattutto durante i pasti, ed è acquistata prevalentemente nei supermercati (57%) e nelle enoteche (22%). Tra i criteri di scelta che influenzano l’acquisto, vincono i consigli di amici e negozianti (36%) che staccano di gran lunga  l’importanza del brand dell’azienda (22%) e la presenza di un marchio bio, a pari merito con il prezzo (13%); sul fronte dei canali informativi preferiti dagli user per conoscerne le caratteristiche prevalgono invece le degustazioni al ristorante (19%), le promozioni sul punto vendita (17%) e il consiglio di amici o familiari esperti come le promozioni nei negozi (entrambi al 14%). Luoghi di produzione, abbinamento cibo- vino, racconto sulla produzione, stile italiano e marchio bio sono infine i 5 valori immagine che secondo gli user il Verdicchio dovrebbe utilizzare per comunicare i suoi tratti distintivi. Tra i dati presentati oggi da Nomisma alla presenza dell’assessore all’Agricoltura e vicepresidente della Regione Marche, Anna Casini, anche quelli sui consumi nazionali. Sono 44 milioni le persone (l’80% dei 18-65enni) che, nel corso del 2015, hanno consumato vino in Italia, con il 50% che lo beve almeno 2-3 volte a settimana e il 65% che ne assume più di 2 bicchieri ogni 7 giorni. Il consumo si rivela essere direttamente proporzionale all’età, con il 64% dei ‘Baby boomers’ (51-69 anni) che beve regolarmente più volte alla settimana, contro il 50% della ‘Generazione X’ (36-50enni) e appena il 38% dei più giovani ‘Millennials’, che però risultano essere i maggiori consumatori di sparkling. Stappato prevalentemente in casa (64%) e al ristorante (17%), resta forte il legame con la cucina, tant’è che il 20% degli intervistati suggerisce alla pubblicità di puntare sugli abbinamenti enogastronomici. Ma è una tavola sempre più verde quella degli italiani, che vedono il vino del futuro orientarsi verso marchi biologici (20%), vini carbon neutral (9%), packaging eco-sostenibili (5%) e vini vegani (4%).

IL VINO E’ MUSICA ed è per questo che viene nobilitato ed esaltato quando è abbinato ai suoni più importanti della nostra terra. Così la degustazione diviene “enomusicale” e bere diventa un’esperienza multisensoriale, in cui a ogni vino si accompagna un brano le cui note e il cui andamento ritmico si mescolano alle sensazioni dell’assaggio. Questo il senso di “Violino Di-vino. Note di musica, note di terra”, la performance live della violinista Francesca Lorenzini con la degustazione dei vini “Tenute del Cerro”, che si è tenuta oggi allo stand della Cia-Agricoltori Italiani al Vinitaly.

La scelta di abbinare il vino di qualità al suono, alla melodia, sta prendendo sempre più piede oggi -spiega la Cia-. Un modo di scoprire le mille note, organolettiche e musicali, in un’esperienza che coinvolge tutti i sensi, a partire dall’udito e dal gusto. Del resto, l’agricoltore e il musicista hanno molte più cose in comune di quanto si pensi. Anche fare il vino, infatti, è una forma d’arte: come la musica, non rappresenta solo un grande valore economico per l’Italia, ma emoziona, racconta il territorio, tramanda storie, allo stesso modo di una canzone.

“L’agricoltura – sottolinea il presidente nazionale della Cia, Dino Scanavino – sarà veramente vincente quando i produttori potranno vivere bene del loro lavoro. Quindi devono fare reddito, vendere le loro produzioni, in questo caso il vino. Il mercato ci insegna che per vincere la sfida del mercato non bisogna solamente produrre qualità, ma bisogna essere bravi a promuoverla. Gli agricoltori dovranno saper comunicare e non esiste miglior mezzo di comunicazione dell’immagine, e l’arte e la musica possono dare un grosso contributo. La scelta di collaborare con una violinista, oggi, come avevamo fatto l’anno scorso sempre al Vinitaly con lo street-artist Maupal, non è affatto casuale. Anzi, queste collaborazioni diventeranno sempre più frequenti. Oggi l’agricoltura e gli agricoltori sono in veloce e continua evoluzione -conclude- e cercano contaminazioni e idee innovative”.

 

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