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Brexit, uscire senza ricatti

Brexit, uscire senza ricatti

Ora l’Unione europea deve difendere i propri cittadini. Rispettare la volontà popolare non può voler dire alimentare una situazione di incertezza

Brexit, uscire senza ricatti di TONINO ARMATA

AVREMMO preferito non aver ragione, ma i primi effetti della Brexit sono devastanti per le famiglie e le imprese britanniche.

Quali saranno le conseguenze per gli agricoltori del Regno Unito e per le merci, l’industria, i servizi, i flussi migratori? La situazione è pesante per tutte le piazze finanziarie, ma la zona euro ha tutte le chance per riequilibrare circuiti finanziari impazziti. Londra non ha le stesse possibilità di reazione. E lo si è visto anche nelle prime ore della mattinata dove nelle borse europee non si riusciva a far partire i listini azionari, ma a Londra il tracollo ha consigliato di sospendere 60 titoli su 100.

Incertezza certo, come tratto dominante di questa fase. Ma come si prende atto della decisione dei cittadini britannici, ora l’Unione europea deve difendere i propri cittadini. Uscire vuol dire uscire. E non può essere accolta la “balbettante comunicazione” del primo ministro Cameron di prendere tempo, di far negoziare l’uscita a un nuovo premier a partire dal prossimo autunno. La comunicazione al Consiglio europeo dell’esito del referendum, da parte del governo britannico secondo l’art. 50 del Trattato, deve avvenire rapidamente. Così stamattina hanno chiesto il parlamento europeo e il presidente della Commissione, Juncker.

Rispettare la volontà popolare non può voler dire alimentare una situazione di incertezza. Per l’Unione non è un funerale, ma una ripartenza che impone un cambio di passo nella direzione di una maggiore integrazione. Abbiamo capito che il fronte europeo è diviso fra spinte europeiste e tentazioni secessioniste. Bene, la sfida va accettata e i primi commenti delle cancellerie europee e delle forze politiche sono incoraggianti. Anzi, quello che sta avvenendo nel Regno Unito sarà utile a smorzare gli umori di quanti predicano che da soli si potrà vivere meglio. Il tracollo immediato che ha colpito una delle piazze finanziarie più importanti del mondo, con ripercussioni gravi sull’economia reale, potrà far capire cosa potrebbe accadere a paesi molto più fragili se verranno assecondate spinte populiste. Pensate alla Polonia e all’Olanda, nazioni molto esposte a venti anti-europei ma con economie che potrebbero diventare in un battito d’ala simili a quella della Grecia.

La reazione giusta alla Brexit è prendere atto che l’Unione deve cambiare per integrarsi più, per evitare che il peso delle contraddizioni interne agli Stati membri si scarichi sempre sul piano europeo, per dotarsi di una governance più democratica. Cambiamento sì, ma senza ricatti.

Ai ragazzi d’Europa diciamo che oggi le paure dei vostri genitori e dei vostri nonni hanno deciso che la Gran Bretagna tornasse ad essere un’isola, che voi diventaste stranieri dall’altra parte della Manica. Siete nati in un continente di pace, non avete mai visto la guerra sotto casa, siete cresciuti senza frontiere, progettando di studiare in un altro Paese, fidanzandovi durante l’Erasmus, scambiando messaggi con gli amici sulle occasioni per trovare lavoro o sui voli meno costosi per vedere un concerto. Non importa se siete nati a Cardiff, a Bologna, a Marsiglia a Barcellona o a Berlino, oggi le paure dei vostri genitori e dei vostri nonni hanno deciso che la Gran Bretagna tornasse ad essere un’isola, che voi diventaste stranieri dall’altra parte della Manica.
I vostri nonni, che sanno cosa è stata la guerra, dovrebbero avere a cuore un futuro di libertà per voi, ma insieme ai vostri genitori si stanno lasciando incantare da chi racconta che rimettere muri, frontiere, filo spinato servirà a farci vivere più tranquilli, sicuri e sereni. Che tornare ad avere ognuno la propria moneta riporterà lavoro, prosperità e futuro. Vi stanno raccontando che la democrazia diretta e i sondaggi in tempo reale risolvono magicamente i problemi, che esistono sempre soluzioni semplici e a portata di mano, che non c’è più bisogno di esperti e competenze, che la fatica e la pazienza non sono più valori, che smontare vale più di costruire. Il continente è malato, ma la febbre di oggi è la semplificazione, l’idea che sia sufficiente distruggere la casa che ci sta stretta per vivere tutti comodamente. Peccato che poi restino solo macerie. Aprite gli occhi, guardate lontano e pretendete un’eredità migliore dei debiti. Vogliamo avere pace, speranza e libertà, non rabbia, urla e paure. Tappatevi le orecchie, non ascoltate gli imbonitori e pretendete politici umili, persone che provino a misurarsi con la complessità del mondo e siano muratori e non picconatori. Segnatevi sul calendario la data di ieri, venerdì 24 giugno 2016, e cominciate a camminare in un’altra direzione, a seminare i colori e le speranze.

Alle ragazze e ai ragazzi inglesi che hanno votato sì, ma che non sono riusciti a convincere i genitori, i nonni, gli zii a fare lo stesso diciamo: “verrà il turno della vostra generazione e allora tornerete”. Ci contiamo.

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