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“Occorre rivisitare gli strumenti e le modalità della comunicazione della Memoria”

“Occorre rivisitare gli strumenti e le modalità della comunicazione della Memoria”

 di ERMANNO TORRICO

<<RICORDARE IL 27 GENNAIO 1945, IL GIORNO IN CUI I SOLDATI SOVIETICI abbatterono i cancelli di Auschewitz-Birkenau rivelando al mondo gli orrori della “Shoah”, può apparire, come ogni ricorrenza che non stimoli nuove riflessioni, un qualcosa di scontato a cui l’abitudine e la retorica hanno sottratto il vigore e la forza etica di un tempo.

Quando il 20 luglio 2000 il nostro Parlamento approvò  la Legge 211, istitutiva del “Giorno della Memoria”, soprattutto per iniziativa di Furio Colombo che sulla propria pelle di bambino aveva sperimentato la follia e l’aberrazione delle leggi razziali del 1938,  essa riscosse unanimi consensi anche sul piano internazionale e fu recepita nella Risoluzione 60/7 dall’Assemblea Generale dell’ONU del 1° novembre 2005, come “Giornata internazionale di commemorazione in memoria delle vittime dell’Olocausto”. L’UE la fece propria istituendo la “Giornata europea della “Shoah” e nel novembre 2008 il Consiglio dell’UE ha approvato la “Decisione Quadro” sulla lotta contro il razzismo, l’antisemitismo e la xenofobia per uniformare la legislazione comunitaria con l’adozione di una normativa antinegazionista e antirazzista.

E tuttavia il razzismo, in tutte le espressioni più aberranti, non ha mai smesso di diffondere i suoi veleni. Il problema, credo, risieda in parte nel paradosso che non sia possibile pretendere che una legge risolva un problema che è soprattutto culturale, e quindi di conoscenza storica  e di consapevolezza del contesto che ha contribuito a formare il brodo di coltura delle  tragedie provocate dall’antisemitismo. Se non si risolve il problema dal punto di vista culturale che lo sottende questo paradosso può generarne  altri.

La Legge 211, infatti, dovendo essere rispettata da tutti, crea dei  potenziali fuorilegge: i neonazisti e i razzisti di ogni risma che certamente non ricorderanno questa data se non per negare la “Shoah” e magari contrapporle il “Giorno del Ricordo” e la tragedia delle Foibe, istituito con la Legge 92 del 30 marzo 2004 tra le polemiche e  le provocazioni di una destra di governo che, senza pudore, rivendicava per sé l’esclusiva rappresentanza morale delle vittime e degli esuli sebbene fosse l’erede di quel fascismo protagonista negli anni venti del violento processo di snazionalizzazione delle popolazioni sloveno-croate e di numerosi eccidi durante l’occupazione italiana nel 1941-45. Alla resa dei conti la ritorsione revanscista di Sloveni e Croati si identificò con gli italiani senza distinzione tra i responsabili fascisti e la gran parte della popolazione italiana innocente.

Come affrontare, dunque, il problema del negazionismo, rilevato che l’effettiva applicazione di leggi repressive nei suoi confronti solleva più di un dubbio anche  nella comunità degli studiosi ? Sebbene Noam Chomsky sostenga che “finora l’apporto dei ‘revisionisti’ alla nostra conoscenza è pari alla correzione di qualche refuso in un elenco telefonico di NewYork”, la repressione giuridica del negazionismo, secondo molti, avrebbe solo l’effetto di dare visibilità e propagandare dalle aule dei tribunali teorie fondate sulla menzogna  che alimentano l’antisemitismo e forme di razzismo xenofobo che si manifestano ormai  apertamente nel quadro attuale prodotto dall’immigrazione.

Nello specifico, rispetto ai secoli precedenti, la storia dell’antisemitismo nel Novecento è drammaticamente segnata dallo sterminio di  cinque, forse sei, milioni di ebrei ad opera del nazismo nel corso della seconda guerra mondiale. Come è stato possibile  che avvenisse nel cuore della civile Europa?  A questa domanda  non mancano  le risposte degli storici, ma al fondo rimane un qualcosa di incomprensibile  e di inaccettabile per  la somma di modernità, relativa alla macchina della distruzione, e di barbarie  dell’aberrazione ideologica che ha prodotto la “Shoah”.  Primo Levi, per esempio, parla di  “buco nero della storia”, Elie Wiesel “di fenomeno trascendente la storia”, Jean Amery di “enigma oscuro”, Hanna Arendt di “processo di disumanizzazione che avvelena la società moderna”. Un evento unico, qualitativamente diverso da altri stermini di massa che si sono verificati nella storia, insomma il simbolo assoluto del male.

Questa interpretazione, largamente maggioritaria, deve difendersi sia dalla messa in discussione dei negazionisti che negano, appunto, che lo sterminio degli ebrei  sia mai avvenuto, sia dalle teorie degli storici “revisionisti”, che non potendo negare l’evento “Shoah”, tentano di banalizzarlo e di relativizzarlo, contestandone l’unicità e sostenendone l’analogia  con altri  crimini di massa avvenuti nel corso di questo secolo: gli Armeni, i kulaki russi durante lo  stalinismo, i cambogiani  sotto il regime comunista di Pol Pot negli anni ottanta. Diversi sono i motivi a sostegno dell’unicità: lo sterminio degli Ebrei è il solo caso nella storia della distruzione di un popolo in nome di una ideologia secolare come l’antisemitismo; il solo esempio in cui la macchina amministrativa, burocratica e militare  di uno stato sia stata finalizzata alla distruzione su scala industriale di un intero popolo e del  suo patrimonio culturale; l’unico caso in cui  l’intera generazione di un popolo, quello tedesco, abbia partecipato in vari gradi, con minime eccezioni, a un genocidio. Certo la responsabilità morale o penale è sempre individuale, ma qui  si può senz’altro parlare di responsabilità collettiva in considerazione del fatto  che la collaborazione di centinaia di migliaia di persone si rese indispensabile per attuare lo sterminio.

Detto questo, è ormai evidente che sia indispensabile rivisitare gli strumenti e le modalità della comunicazione della Memoria per opporre una diga all’oblio e al diffondersi di una sottocultura violenta  alimentata dalla politica e, con qualche distinzione, dall’apparato mediatico che hanno abdicato da tempo a un minimo di  intervento in chiave di pedagogia civile. Anche su alcuni aspetti, sempre più diffusi, di visita ai luoghi dello sterminio nazista occorre riflettere. Segnalo, a questo proposito, un interessante articolo di Federico Pontiggia (La banalità del selfie: il turismo della Shoah tra sorrisi e sandwich, “Il Fatto Quotidiano”, 25 gennaio) che si interroga se sia ancora possibile fare Memoria e se la mediazione, soprattutto delle arti visive, abbia spazi di manovra preclusi all’esperienza del viaggio nei luoghi dello sterminio dove si vedono scene di “orrore quotidiano”: famigliole che cercano l’inquadratura migliore sotto la scritta “Arbeit macht frei”, comitive col pranzo al sacco e coppiette sorridenti. Il regista e documentarista Sergei Loznitsa che ha ripreso i visitatori di Sachsenhausen  ha dichiarato: “Ho sentito una sensazione sgradevole nel mio essere lì, come se la mia presenza fosse eticamente discutibile”. Parole tranchantes ma che, al netto della soggettività, colgono nel segno e sottolineano un disagio di fronte a dei comportamenti in rotta di collisione con l’umana drammaticità dei luoghi.

Quanto al problema della legislazione repressiva dell’antisemitismo negazionista e del razzismo adottata da diversi paesi (compreso il nostro che nel 1993 ha varato la cosiddetta “Legge Mancino” la cui applicazione, per altro, è messa in discussione da un emendamento della Commissione Giustizia del Senato che di fatto ne restringe il campo di intervento in rapporto al negazionismo), ritengo che possa costituire un deterrente ma  va applicata con forme rispettose delle funzioni  e delle caratteristiche della comunità degli studiosi.  Credo che questo approccio sia indispensabile per colmare i limiti che ostacolano il ripristino di un impegno pubblico nell’elaborazione di una riflessione sul passato che rafforzi i valori e i simboli di cittadinanza democratica. E’ un tema fondamentale perché, come ha spiegato Simon Wiesenthal, il famoso “cacciatore” di criminali nazisti, in Gli assassini sono tra noi (Giunti 1970), c’è uno stretto legame tra l’oblio volontario di un’intera nazione e il germe del negazionismo>>.

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