Per l’economia della provincia di Pesaro e Urbino si chiude un altro anno difficile
Per l’economia della provincia di Pesaro e Urbino si chiude un altro anno difficile
I dati del Centro studi della Cna confermano la chiusura di quasi 500 imprese nei primi 11 mesi dell’anno. Nelle Marche solo la provincia di Fermo fa peggio. Ma non mancano i segnali positivi
PESARO – Per l’economia della provincia di Pesaro e Urbino si chiude un anno difficile, l’ennesimo. E questa volta cifre e indicatori sono tutti (o quasi), orientati al segno meno. Un trend che da qualche anno sembra inarrestabile. Secondo i dati elaborati dal Centro Studi regionale della CNA, infatti, le imprese attive della provincia ammontano ora a 34.973 (dati riferibili alla fine di novembre 2018), e risultano diminuite, nel corso dei primi undici mesi dell’anno, di 484 unità, pari al -1,4%. Un dato che ancora una volta ci colloca come provincia tra le peggiori delle Marche. La diminuzione del numero di imprese registrata tra gennaio e novembre 2018, infatti, risulta superiore a quella registrata nello stesso periodo dal complesso della regione -0,9%.
LA CONGIUNTURA
Ma se si entra nello specifico si comprende meglio anche l’entità della situazione. Nella provincia di Pesaro e Urbino la diminuzione delle imprese attive nel 2018 riguarda soprattutto, in termini assoluti, le manifatture (-232 imprese attive), seguite dal commercio (-208 imprese) e dalle costruzioni (-112 imprese). Marginale risulta la perdita delle imprese del settore agricoltura silvicoltura e pesca (-0,5%). Perdono imprese anche i trasporti (-17 unità), servizi quali informazione-comunicazione e attività finanziarie e assicurative (-5 imprese per ambedue i settori). Un timidissimo segno positivo lo registra invece il tessuto di imprese attive nei settori del turismo e della ristorazione (+24 imprese) e l’assieme dei “servizi avanzati” (ai quali abbiamo ricondotto attività finanziarie e assicurative, attività immobiliari, attiv.professionali scientifiche tecniche noleggio agenzie di viaggio, etc.) che registra 69 imprese in più, nonostante il calo nei due settori sopra citati (informazione-comunicazione e attività finanziarie e assicurative). Sono in crescita anche le imprese dei servizi tradizionali a persone e famiglie (+7 imprese) e dei servizi sanitari sociali sportivi e culturali (+14).
LE ESPORTAZIONI
Non sono ancora disponibili i dati relativi all’occupazione del 2018 mentre in un panorama pressoché sconfortante, si segnala un aumento delle esportazioni. Nei primi nove mesi del 2018 l’export provinciale è infatti cresciuto del 5,6%, rispetto allo stesso periodo del 2017, in decisa controtendenza nei confronti del complesso della regione (-2%). Il progresso delle esportazioni pesaresi riguarda tutte le principali voci dell’export provinciale, ma in particolare la gomma plastica e altri prodotti della lavorazione di minerali non metalliferi, dove l’aumento è stato pari a circa il 15%. Particolarmente deciso è stato anche l’incremento dell’export del settore mezzi di trasporto (+48%). La meccanica delle produzioni di macchinari e impianti resta saldamente in testa alle esportazioni pesaresi e registra incrementi sostanziosi. Le produzioni di mobili (registrate sotto la voce “altre attività manifatturiere”), si difendono bene su mercati esteri mentre sono in stallo sul mercato interno. E poi c’è una sorpresa. Sono in negativo ad esempio le esportazioni di prodotti alimentari (-11,8%) che, tuttavia, coprono un ruolo ancora ridotto nella struttura delle esportazioni della provincia.
IL CONFRONTO CON LE ALTRE PROVINCE
Insomma il quadro che ne emerge, ancora una volta non è dei migliori. La provincia di Pesaro e Urbino, un tempo locomotiva della crescita marchigiana, conferma la sua inesorabile discesa iniziata 10 anni fa. I numeri sulle imprese attive elaborati in questi anni dal Centro Sudi regionale della CNA su dati InfoCamere sono ancora una volta impietosi e indicano una sofferenza ormai strutturale che ci pone come fanalino di coda dell’economia regionale, senza peraltro che si sia registrata nessuna inversione di tendenza. In questi ultimi mesi solo la provincia di Fermo fa peggio di noi (-1,8%).
Ma se raffrontiamo i dati degli ultimi dieci anni, c’è di che riflettere. Nel 2009 le imprese attive in provincia erano 39.598 ad oggi sono invece 34.973. Significa che hanno chiuso i battenti ben 4.625 imprese ovvero quasi il 14% in meno del numero totale di imprese.
Nessuno nelle Marche ha fatto peggio di noi. Basti pensare che, seppure generalizzato, il calo nelle altre province è stato meno grave: (Ascoli: – 0,8%; Ancona: – 4,4%; Macerata: -6%; Fermo: -9,7%).
L’ANALISI
“Seppure la lettura di questi dati sia sconfortante-dice il presidente provinciale della CNA, Alberto Barilari-ci sono dei segnali positivi. Imprese che nascono nei nuovi settori, esportazioni e internazionalizzazione. Purtroppo questa provincia sta pagando più delle altre il prezzo della crisi e il quadro di questo territorio si è ormai trasformato definitivamente. La manifattura, non è più uno dei pilastri del tessuto economico. In questi anni è aumentata la richiesta di servizi ma è diminuita la produzione. In qualche modo questa provincia non solo non ha saputo assecondare il cambiamento ma ha pagato più di altre la sua vocazione prettamente manifatturiera e la mancanza di infrastrutture”.
Il segretario Moreno Bordoni rilancia una sua riflessione “Hanno chiuso in tanti, troppi e noi lo abbiamo detto spesso in questi dieci anni. Hanno fatto molto meno rumore le 4.625 serrande di piccoli laboratori e officine che si sono abbassate rispetto ai cancelli di ingresso di qualche marchio più famoso. Non è vero, come sostiene qualcuno, che la crisi sia servita ad una “scrematura”, ovvero ad eliminare dal mercato le aziende peggiori. Si è perso invece una grande fetta di quel patrimonio di piccole imprese ricche di esperienza, qualità e professionalità. Aziende che hanno subìto i contraccolpi della crisi e che hanno pagato per prime la crisi dei mercati”.
Nonostante tutto questo, la CNA di Pesaro e Urbino cerca di vedere anche gli aspetti positivi “perché – dicono all’unisono Barilari e Bordoni – il nostro dovere è essere ottimisti e infondere fiducia alle imprese. I segnali positivi ci sono e sono arrivati come sempre sul fronte delle esportazioni che, nonostante la crisi internazionale, hanno continuato a crescere. Qualche timido segnale anche sul fronte degli investimenti con particolare riferimento all’innovazione. Segno che le imprese non stanno a guardare e cercano di reagire investendo su sè stesse. Grazie soprattutto all’export in provincia di Pesaro e Urbino stanno tenendo alcuni settori storici: la meccanica in primis e qualcosa il mobile mentre la nautica sta riprendendo vigore. Sono ancora in affanno le costruzioni, nonostante incentivi e bonus fiscali. Ancora in sofferenza il tessile, il mobile e l’autotrasporto mentre va decisamente bene l’accoglienza turistica, parte della ristorazione e tutto il settore agroalimentare. Regna insomma ancora una situazione di grande incertezza. In questa fase difficile la CNA continua ad essere impegnata per cercare di sostenere le proprie imprese, anche a livello istituzionale. LA CNA invoca da tempo una forte riduzione della burocrazia a carico delle imprese ed una riduzione della spesa pubblica improduttiva e le agevolazioni previste per quelle aziende che intendono digitalizzarsi e ad affacciarsi alle nuove tecnologie”.
“Decisiva su tutte – concludono Bordoni e Barilari – è come sempre la questione del credito. In questa fase occorre che gli istituti di credito garantiscano finanziamenti alle imprese. CNA considera ancora strategico e centrale il ruolo del Confidi regionale, il cui progetto è diventato operativo con la costituzione della SRGM Società Regionale di Garanzia delle Marche”.
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