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Il “pondo” leopardiano nel suo Infinito

Il “pondo” leopardiano nel suo Infinito

di TIBERIO CRIVELLARO

E’ uscita lo scorso ottobre l’attesa antologia “Poeti per l’Infinito” (Di Felice Edizioni – Martinsicuro, Teramo) a cura Vincenzo Guarracino, il quale non si è limitato al solo inserimento dei versi di un centinaio tra i migliori poeti italiani contemporanei chiamati sul tema Infinito di Leopardi.

Vi hanno partecipato anche noti artisti d’arte visiva i quali, successivamente, esporranno le loro opere alle presentazioni in svariate citta d’Italia già in calendario e altre ancora in programmazione.  Essendo nel bicentenario della nascita di Leopardi, Vincenzo Guarracino ha colto tale ricorrenza per “traghettare” i lettori che lo desiderano nei molteplici gironi esistenziali del poeta recanatese scrivendo in apertura antologia un profondo ed esaustivo saggio. Poeta egli stesso e valente studioso della filosofia e della letteratura greca e latina, è considerato oggi tra i maggiori ricercatori del più importante poeta degli ultimi cinque secoli. Per questo ha potuto “scolpire” nuove ragioni di studio. Con noi viandanti, egli ci guida a esplorare i complessi “gironi” leopardiani.

Analisi impeccabile…all’Infinito, procedendo in quel nulla che “…interviene nell’attimo del pensiero…pensiero che dice…sul crinale di un abisso…”. Di un oltre che si annulla continuamente nella banalità e nella noia del qui dell’angoscia. E neppure il Leopardi, suggerisce Guarracino, è riuscito a scacciare l’angoscia dalla sua stessa appartenenza (nel nihilum) dell’essere: non ha potuto sottrarsi a tale condizione disponendosi con l’arte del patimento, ben consapevole già nel DIARIO DEL PRIMO AMORE: “…non sapendo ne volendo farlo altrimenti collo scrivere…”. E, quasi concludendo, ne L’APRESSAMENTO DELLA MORTE: “…sento del pensier l’immenso pondo…”.

Tra le righe par che Guarracino avverta i poeti contemporanei che senza tali condizioni (ove s’infrangono i sogni velleitari adolescenziali non senza irte domande per raminga che par vietare gli affetti – sopiti nel tempo o rimossi), non è possibile evitare le ansie credute risolte dal tempo. Ma ciò non spiana dagli arcobaleni delle varie e “inutili” discipline del sapere che rimandano, infine, al desiderio separando l’Uomo dall’Unico nella logica  temporalità dell’inconscio. E’ questo lo scacco nella storia dell’umano, del tempo da esso sistematicamente e sintomaticamente inventato, tanto da s/contarlo in quell’atonía priva di risonanze; eco desertica e vuota.

Una condanna a domande senza risposta? La nota di Guarracino intorno a quel pondo è ben sostenuta nel citare Catullo: “Sed postquam tellus scelere est inbuta nefando/ iustitiaamque omnes cupida de mente fugarunt” ( poi che, dopo che la terra fu imbevuta dall’umana scelleratezza, e… tutti si distanziano dinnanzi la giustizia per avida mente…in verità); e ancora, intimando uno dei pensieri hörderliniani, ben avvalla il contesto gramo di quei poeti che vivono il loro tempo nella povertà per mancanza di spirito, di mentis, di autentico pondo.

Lo scacco, dicevo, inizia con la storia dell’uomo e del suo tempo (fatto anche di corruzioni) ove tout homme qui pense est un Ȇtre corrumpu condannato a non trovar risposte causa di realtà nel creduto godimento dell’oggetto, del desiderio inappagante: la parola non fa  altro che inseguire i sosia della memoria (Altro/a) velando e rivelando un processo interminabile della continua domanda che poi denuncia il nulla di impossibili risposte.

Se il poeta aderisce alla parola scrivendo nella possibile autenticità e aderisce alla natura delle cose, non certo in modo platonico, si dovrà occupare del suo risveglio dal torpore. Ecco, in sintesi, l’antitesi tra poesia immaginata e “sentimentale” piuttosto di quella più autentica degli “Antichi”, fino ai grandi crepuscolari dell’ultimo ‘900, i quali si sono interrogati con autentico sforzo e in libertà senza temere i parallelismi ingenui del sentimento, insidiati e incrinati dalle insorgenze del patetico e della volgare coscienza che reprime…dolorosamente.

Che fare, mettersi “all’Infinito” senza polluzioni diurne? Guarracino, ferinamente, potrebbe avere invitato al tema antologico (ma questo, provocatoriamente, è il mio pensiero) un centinaio di poeti contemporanei a cimentarsi in un tema felicemente assurdo? Sicuramente il curatore mette in guardia gli astanti. Occorre vi sia l’esigenza della parola orale scritta, unica e sola protezione da diversi “atti di cultura” inutili. Muoversi a un “atto altro”, diverso da quello del tiranno che si perpetua nelll’attuale neoliberismo, acerrimo nemico della poesia e delle arti.

Inaudibilmente” (mi passate il neologismo?) consiglio di tradire l’Ego dando il maggior spazio possibile a un Io furente. Amen. Cito solo qualche poeta siciliano, tra coloro che più mi hanno sorpreso in codesta Antologia: Annitta di Mineo (nativa di Catania), Stefano Lanuzza (Messinensis natione non moribus), Giuseppe Manitta (catanese) e Angelo Maugeri (nativo di Motta Di Camastra), nominando anche una valente poetessa e giornalista, non sicula, ma vissuta per molti anni a Catania: Eliza Macadan, che ricorderete.

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POETI PER L’INFINITO

A cura di Vincenzo Guarracino

Di Felice Edizioni

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