Viva la Repubblica, la scelta (nel 1946) dei marchigiani
Viva la Repubblica, la scelta (nel 1946) dei marchigiani
di GIORGIO GIRELLI*
PESARO – Nella provincia di Pesaro e Urbino il 2 giugno 1946 su 199.191 elettori 131.542 (76,21%) votarono per la Repubblica e 41,052 (23,79%) per la monarchia.
Non dissimili i dati registrati nella intera regione Marche: Repubblica 499.566 (70,12%) e monarchia 212.925 (29,88%). La provincia più “repubblicana” si rivelò Ancona con il 79,61% contro 20.39% monarchico. Meno marcate, come noto, le differenze a livello nazionale con12.717.923 (54.30%) voti per la Repubblica e 10.719.284 (45,70%) per la monarchia, che non godeva più i favori del popolo.
Come riferisce Ernesto Preziosi in un suo saggio sul referendum istituzionale del 1946, l’organo antifascista marchigiano, “La Riscossa”, nel dicembre 1943, commentava: «La stessa monarchia, pedissequa per vent’anni a tutte le capricciose malvagità ed alle eroicomiche trovate del tiranno, si lasciò guidare la mano, fino alla firma dell’aggressione contro la Francia agonizzante, guadagnando alla nostra Italia la sozzura del titolo maramaldesco».
Al di là del linguaggio “fiorito” non si può certo dire che la monarchia abbia brillato per dignità e fierezza. Restò inerte se non connivente dinanzi alla violenta ascesa del fascismo, firmò le orribili leggi razziali, consentì una guerra di aggressione per la quale peraltro le Forze armate erano impreparate (Grecia, Etiopia, Africa settentrionale, Russia ne furono la tragica dimostrazione), abbandonò Roma senza ordini per la sua difesa come senza ordini furono lasciati centinaia di migliaia di soldati italiani impegnati in vari scacchieri. E torbidi sospetti ha sollevato il tranquillo trasferimento a Pescara percorrendo, in visibile corteo di vetture, territori occupati dai tedeschi.
Anche se un periodico marchigiano commentava che «casa Savoia non abbandonerà il trono con la stessa solerzia con cui abbandonò il popolo italiano nell’ora del pericolo”, le gravi responsabilità accumulate dalla monarchia nel tempo ne avevano segnato l’irreversibile destino.
*Coordinatore del Centro Studi Sociali “De Gasperi”
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