Al Rossini Opera Festival 2022 un extra-ordinario Comte Ory
Al Rossini Opera Festival 2022 un extra-ordinario Comte Ory
di CHIARA GAMURRINI
PESARO – Le Comte Ory di Rossini ha rappresentato fin dall’esordio un punto di rottura con il passato, che gli valse l’attribuzione di un nuovo genere operistico denominato petit opéra. Auguste Delaforest già ne osservò l’aspetto innovativo in una rassegna apparsa sulla “Gazette de France”, nella quale la definisce “un’opera in due atti in stile italiano, dotata di una trama inusuale, con originalità nei costumi […] e uno scioglimento e rivolgimenti della trama che non assomigliano a nulla di quanto non sia stato già visto”. In questa ottica di eccezionalità, intesa come qualcosa fuori dalla norma, si inserisce l’allestimento di Hugo De Ana (regia scene e costumi), con luci di Valerio Alfieri, studiato per la XLIII edizione del ROF di Pesaro.
Una scenografia esuberante e carica di colore riempie il palcoscenico fin dalle prime note, costringendo l’occhio di chi guarda a vagare in cerca di una qualche forma familiare tra le surrealistiche figure tridimensionali estrapolate dai quadri di Hieronymus Bosch. Ma forse è proprio questo l’intento del regista: concedere all’osservatore di poter liberamente piegare il simbolismo del pittore fiammingo alla creazione di una sorta di locus amoenus dove regna il libero arbitrio. Un diavolo rosso compare occasionalmente intorno ai personaggi come a sottolineare l’aspetto licenzioso delle loro azioni. L’ambientazione bucolica non è la sola stravaganza riscontrata in questa versione dell’opera. I costumi dai motivi floreali e le danze dinamiche ma scomposte contribuiscono ad una chiassosa atmosfera paesana che permane durante tutto il primo atto. Più sobrio il secondo atto, che conserva però elementi scenografici bizzarri, come la struttura utilizzata per la scena del terzetto al buio. L’antitesi tra sacro e profano determina l’aspetto comico della vicenda, che viene arricchita di gag volte a ridicolizzare l’aspetto religioso, qui asservito al raggiungimento di scopi poco casti.
Il Conte Ory, protagonista della farsa, è interpretato da Juan Diego Flórez, tenore di altissimo livello presente al ROF dal 1996 ed ora anche direttore artistico del festival. Fluente nella linea di canto e funambolico negli acuti e sovracuti, si distingue per la grande agilità vocale che viene arricchita da una leggera morbidezza tipica dello stile francese. Notevoli anche le sue capacità attoriali che rendono ancora più efficace il messaggio comico. Il soprano Julie Fuchs impersona la contessa con controllo e precisione evidenti nei sillabati fitti. È delicata in acuti e sovracuti e affronta con attenta sicurezza i virtuosismi della coloratura. Un sorprendentemente positivo debutto al ROF è stato quello del mezzo soprano Maria Kataeva nelle vesti del paggio Isolier. Il ruolo en travesti le calza a pennello grazie ad un corpo vocale consistente e duttile. Ad interpretare Raimbaud il baritono Andrzej Filonczyk, spigliato nelle movenze e chiaro nella dizione, ha convinto il pubblico con l’aria “Dans ce lieu solitaire”. Il basso Nahuel Di Pierro, nel ruolo del Gouverneur, si è distinto per la voce piena e di buona grana. Bene anche Monica Bacelli in Ragonde e Anna-Doris Capitelli in Alice.
L’orchestra della Rai è diretta con rispettosa vivacità da Diego Matheuz, che accompagna le voci seguendo l’andamento enfatico della storia. Quasi sempre presente in scena e perfetto nella cura delle dinamiche sia vocali che sceniche il Coro del Teatro Ventidio Basso di Ascoli Piceno, preparato dal maestro Giovanni Farina.